La Digossina ha ancora significato nel trattamento dello scompenso cardiaco e della Fibrillazione Atriale?
A cura di: Marco Cambielli – SNAMID Nazionale
In un numero del Lancet del Marzo 2015 Washam J e coll (1) hanno compiuto una analisi retrospettiva su oltre 14000 pazienti randomizzati a partecipare allo studio ROCKET AF il cui obiettivo era stato la valutazione dell’efficacia di rivaroxaban nella prevenzione dello stroke e nell’embolia nei soggetti con Fibrillazione atriale. In questa analisi retrospettiva sono stati valutati i 5239 pazienti in trattamento con digossina al baseline, ed è stata verificata una associazione con aumento di mortalità per tutte le cause durante un periodo mediano di osservazione di 707 giorni.
In un commento sullo stesso numero, Khan AA e Gheorghiade M (2) contestano in maniera assai convincente questi risultati che sono in contrasto con precedenti risultati ottenuti da trials che hanno coinvolto più di 100.000 pazienti affetti da fibrillazione atriale in cui la digossina era stata dimostrata efficace nel controllo della frequenza cardiaca .
Nel commento vengono evidenziate le limitazioni dello studio, consistenti in bias di selezione con potenziali fattori confondenti relativi ai fattori non controllati che hanno indotto la prescrizione di digossina ai pazienti dello studio ROCKET AF.
Ricordando lo studio DIG ( Digitalis Investigation Group) del 1997 che aveva arruolato 6800 pazienti con scompenso cardiaco in ritmo sinusale e che aveva dimostrato una riduzione dei ricoveri ospedalieri dovuti ad un peggioramento dello scompenso, ed uno studio ancillare su circa 1000 pazienti con scompenso e frazione di eiezione conservata che avevano portato all’approvazione da parte dell’FDA della digossina come farmaco per lo scompenso e la Fibrillazione Atriale, Khan e Gheoghiade suggeriscono che i risultati dello studio retrospettivo sui dati del ROCKET AF possano essere addebitati al tema della dose usata, considerazione da tenere in conto, quando si tratta di un farmaco a basso indice terapeutico come la digitale. La chiave di lettura può essere trovata nel fatto che nello studio DIG era stata usata una formula che , tenendo conto di età, sesso, peso e funzione renale, portava ad una concentrazione plasmatici di digossina pari a 0,8ng/ml e che era stato chiaramente dimostrato in uno studio ancillare che la concentrazione plasmatica di digossina va mantenuta tra 0,5 e 0,9 mg/ml per ottenere i benefici terapeutici del farmaco, mentre concentrazioni plasmatiche superiori a 1,2 ng/ml erano associate ad incremento della mortalità.
L’assenza di standardizzazione del range plasmatico terapeutico nei pazienti coinvolti nello studio ROCKET AF, ove verosimilmente il dosaggio della digossina era stato indicato in base alla risposta ventricolare, come avviene in molti casi, e quindi l’uso di dosaggi che non erano congruenti con le concentrazioni plasmatiche ideali, impedisce di dare valore all’articolo di Washam J e coll presente nello stesso numero della rivista.
Secondo Khan e Gheorghiade quindi lo studio di Washam non cambia nulla: non vi è alcun motivo per pensare che una concentrazione sierica adeguata efficace e non dannosa nello scompenso dei pazienti in ritmo sinusale, non possa essere tale anche nei soggetti con Fibrillazione Atriale.
Perciò gli autori del commento suggeriscono di continuare ad usare la digossina anche nei pazienti con FA avendo come obbiettivo del dosaggio non la frequenza ventricolare, ma una concentrazione plasmatici adeguata, con limite superiore tollerato di 1,0 ng/ml, di digossina. Non possiamo che essere d’accordo!
Bibliografia
2. Sadiya S Khan, Mihai Gheorghiade The Lancet published online March 6, 2015, http:// dx.doi.org/10.1016/s0140-6736(14)61836-5