Trigliceridi e Rischio Cardiovascolare: un approfondimento
A cura di: Marco Cambielli ed Enzo Pirrotta. SNAMID nazionale
E’ più “pesante” il livello plasmatico del colesterolo o quello dei trigliceridi, come fattore di rischio cardiovascolare? La risposta è certa: un alto tasso di colesterolo. Ma questo non vuol dire che possiamo trascurare il segnale rappresentato da un aumento di trigliceridi, che indica, spesso, la presenza di una complessa serie di alterazioni del metabolismo.
I trigliceridi, innanzitutto, sono i grassi che troviamo in tutti gli alimenti che consumiamo. I grassi del burro, della carne, degli oli, sono tutti, sul piano strettamente chimico, dei tri-gliceridi (formati, cioè, da tre acidi grassi legati al glicerolo). Ma, curiosamente, non sono soprattutto i grassi alimentari a dovere essere limitati quando i trigliceridi superano i limiti di norma (fissati, in genere, tra 150 e 200 mg/dL): nutrienti cui dobbiamo fare attenzione sono soprattutto i carboidrati e gli zuccheri semplici, perché il nostro organismo li trasforma in maniera molto efficiente, nel fegato, in trigliceridi, per utilizzarli poi come “riserva di calorie”. Strano? Non molto, se ci pensiamo: anche per il colesterolo alto è la stessa cosa, è infatti più importante ridurre i grassi saturi, che l’organismo utilizza per “produrre” il proprio colesterolo, che ridurre il consumo del colesterolo “già pronto”, contenuto per esempio nelle uova e nei crostacei.
I trigliceri hanno un forte legame con i carboidrati e gli zuccheri alimentari. Una conferma di questo legame viene dagli studi sui diabetici. I diabetici, infatti, hanno quasi sempre i trigliceridi alti, e la moderazione nel consumo dei carboidrati e degli zuccheri alimentari ripristina, in genere, normali livelli della trigliceridemia. Ma anche il fruttosio viene trasformato in trigliceridi dal fegato; la frutta autunnale (cachi, fichi, uva) e la frutta esotica (banane in testa), caratterizzate dal più elevato tasso di fruttosio, vanno infatti consumate con cautela quando i trigliceridi sono alti. Simile il discorso per i carboidrati più digeribili (come quelli di patate e pane), che l’organismo scinde rapidamente in glucosio, e per l’alcool, che pure – specie se consumato in dosi non moderate – finisce per essere convertito, dal fegato, in trigliceridi.
Ma cosa sappiamo, esattamente, del contributo di un alto tasso di trigliceridi al rischio cardiovascolare?
Nel 1996 Hokanson e Austin hanno dimostrato in una meta-analisi che i trigliceridi (TG) sono un fattore di rischio indipendente per malattie cardiovascolari (1) : la presenza di una elevata concentrazione di frazioni di lipoproteine aterogene ricche di TG è la principale anormalità responsabile di questa associazione. (2) Tuttavia, l’evidenza che i TG siano un fattore indipendente di rischio per malattia coronarica rimane in parte controversa, perché i risultati dei trials non sono stati uniformi: in più, in caso di risultati positivi, la quantità dell’effetto è sembrata modesta. (3)
Come spiegare questa contraddizione? In primis i TG sono una componente lipidica altamente variabile in funzione del consumo giornaliero di grassi alimentari; oggi noi consumiamo almeno tre pasti giornalieri e di conseguenza siamo in un continuo stato “postprandiale” che si riflette in una trigliceridemia estremamente variabile Secondariamente, i pazienti con alti livelli di TG spesso presentano altri addizionali fattori di rischio, come l’insulino-resistenza, che possono impattare sulla loro predisposizione alla aterosclerosi.
Infine elevati valori di TG nel plasma sono spesso associati a bassi valori di cHDL e non è sempre facile discernere quanto i risultati di un trial siano da addebitare ad ogni singolo fattore o al combinato disposto dei due fattori . (4)
Tutto questo considerato, gli esperti hanno cominciato a discutere se il non HDLc possa essere il migliore marker di aterogenesi (5) e, come segnalato da Alan Jones (6) ,ogni associazione tra livelli plasmatici di TG e rischio CV è spesso, ma non invariabilmente, attenuata dal fatto che bisogna tenere in debito conto le concentrazioni plasmatiche dell’ HDLc o del non HDLc.
Contemporaneamente elevati livelli di trigliceridi non sono accompagnati solamente da modificazioni dei valori plasmatici degli altri lipidi, ma comportano modificazioni delle apolipoproteine. Nell’uomo è stata osservata una correlazione inversa fra trigliceridemia a digiuno e post-prandiale e concentrazioni di colesterolo-HDL e ApoA1, a supporto dell’evidenza della stretta correlazione fra metabolismo dei trigliceridi e delle HDL.
Mentre per i trigliceridi sembra essere evidente un ruolo preciso nel facilitare l’insorgenza ed il mantenimento di uno stato infiammatorio, soprattutto durante la fase postprandiale, per quanto riguarda le HDL sta emergendo una serie di evidenze che legano la loro attività “antiaterosclerotica” non solo alla capacità di stimolare il trasporto inverso del colesterolo ma anche attraverso una serie di azioni concomitanti, che spaziano dalla attività antinfiammatoria a quella di stimolo della produzione di cellule progenitrici endoteliali.
Se l’associazione epidemiologica tra i livelli dei trigliceridi e del colesterolo-HDL con il rischio cardiovascolare appare quindi ormai accertata, (8) i meccanismi attraverso i quali questo eccesso di rischio viene generato sono ancora oggetto di studio.
Possiamo concludere con Harchaoui (3) che l’evidenza epidemiologica indica che i livelli plasmatici di TG prevedono lo sviluppo o meno della malattia CV . Una relazione indipendente tra TG e la malattia coronarica è osservata nella popolazione generale. Nei pazienti con sindrome metabolica o diabete, che hanno una storia metabolica comune, i TG plasmatici appaiono predittori indipendenti di rischio cardiovascolare, ma i dati non sono sempre coerenti: la forte relazione inversa tra TG e HDLc in questi pazienti può riflettere un processo fisiopatologico comune e ostacola le analisi statistiche. Per la valutazione del rischio cardiovascolare e gli interventi terapeutici, si raccomanda pertanto di tener conto sia di alti livelli di TG che bassi livelli di HDLc L’evidenza accumulata mostra che i livelli di TG non a digiuno possono predire meglio il rischio cardiovascolare. Le Linee guida di screening e trattamento della malattia cardiovascolare, come quelle della Società Europea di cardiologia includono i TG non a digiuno nella valutazione del rischio CV, e come target del trattamento preventivo della malattia CV(9), (10).
Bibliografia
2. Stalenhoef AF, de Graaf J. Association of fasting and nonfasting serum triglycerides with cardiovascular disease and the role of remnant-like lipoproteins and small dense LDL. Curr Opin Lipidol. 2008;19:355–61.
3. Harchaoui, K E L., Visser M.E, Kastelein J.J.P, Stroes E.S, and Dallinga-Thie G.M. Triglycerides and cardiovascular risk. Curr Cardiol Rev. Aug 2009; 5(3): 216–222.
4. Ginsberg HN, Bonds DE, Lovato LC, et al. Evolution of the lipid trial protocol of the Action to Control Cardiovascular Risk in Diabetes (ACCORD) trial. Am J Cardiol. 2007;99:56i–67i.
5. Kastelein JJ, van der Steeg WA, Holme I, et al. Lipids, apolipoproteins, and their ratios in relation to cardiovascular events with statin treatment. Circulation. 2008;117:3002–9.
6. Alan Jones: Editorial;TG and CV risk Heart doi:10.1136/heartjnl-2012-302968
7. Tian L, Xu Y, Fu M, Peng T, Liu Y, Long S. The impact of plasma triglyceride and apolipoproteins concentrations on high-density lipoprotein subclasses distribution Lipids Health Dis 2011;10:17
8. Bansal S, Buring JE, Rifai N, Mora S, Sacks FM, Ridker PM Fasting compared with non fasting triglycerides and risk of cardiovascular events in women JAMA 2007; 298: 309-316
9. European Guidelines on Cardiovascular Disease Prevention in Clinical Practice. The Fifth Joint Task Force of the European Society of Cardiology and Other Societies on Cardiovascular Disease Prevention in Clinical Practice (constituted by representatives of nine societies and by invited experts). Eur Heart J
2012;33(13):1635-701
10. ESC/EAS Guidelines for the management of Dyslipidaemias, Eur Heart J 2011;32 (14) 1769-1818