I dottori Saffi Ettore Giustini e Marco Cambielli affrontano lo spinoso argomento dell’appropriatezza prescrittiva in medicina generale, in un articolo pubblicato sulla rivista VobisMagazine.
Noi vi riproponiamo quali sono le considerazioni sull’argomento derivanti dalle riflessioni dei due medici di medicina generale.
Appropriatezza prescrittiva in medicina generale
Definizioni: una sintesi.
L’appropriatezza prescrittiva in medicina è un concetto variamente definito e interpretato come:
- La caratteristica delle “cure” i cui vantaggi superano i rischi;
- La componente clinica della qualità della medicina;
- Il livello di aderenza alle linee-guida o a convincenti prove di efficacia [EBM, ultimi decenni];
- L’efficacia delle cure, correggendo gli sprechi e rispettando la sostenibilità economica della medicina.
Si considerano cure mediche appropriate quelle i cui vantaggi superano i rischi con un margine sufficiente a renderle meritevoli di applicazione e se potessimo aumentare le cure appropriate riducendo quelle inappropriate, i vantaggi per i pazienti e la società in termini di salute e benessere sarebbero enormi.
L’appropriatezza è la componente clinica della qualità della medicina.
Prevale oggi la tendenza a misurare l’appropriatezza di un procedimento diagnostico o terapeutico in funzione dell’aderenza a linee guida che di solito sono basate su trial controllati e randomizzati e in popolazioni selezionate.
Più recentemente si tende a includere nella definizione di appropriatezza la correzione degli sprechi che contribuiscono fortemente a mettere in crisi la sostenibilità economica dell’attuale medicina.
Altre definizioni utili
Il termine “compliance” è l’uniformarsi di un paziente alle indicazioni ricevute dal medico curante.
La voce “aderenza” si é affermata nel mondo anglosassone ed è preferita perché evita “l’autoritarismo associato al termine compliance”.
Per aderenza si intende la conformità alle raccomandazioni inerenti il trattamento prescritto dal medico in termini di tempo, dose e frequenza di somministrazione.
Alcuni elementi per una prescrizione appropriata in medicina generale
- Definire chiaramente i problemi del paziente.
- Specificare che cosa vuoi ottenere dal trattamento.
- Pensare prima a trattamenti non farmacologici (stile di vita).
- Usare farmaci attivi su end point clinici forti, non solo surrogati.
- Non risparmiare di fornire al paziente informazioni, istruzioni e avvertenze.
- Valutare i risultati del trattamento nel tempo.
- Considerare i costi dei trattamenti.
- Usare il computer per garantire la leggibilità delle prescrizioni.
- Mantenere un alto livello di sorveglianza per evitare o identificare tempestivamente eventuali reazioni avverse.
All’esperienza è generalmente attribuita una patente di competenza, ma non sempre è così: in realtà è un fattore ambivalente. Per chi non studia e non riflette, l’esperienza – espressa come anni di pratica – fa dimenticare ciò che si era appreso e riduce la competenza; al contrario, è un fattore prezioso per la competenza se il medico riflette sul proprio lavoro e sugli eventuali errori compiuti.
La prescrizione
La prescrizione di farmaci, specie nell’anziano, è un processo estremamente complesso, seppur considerato banale.
Occorre ribadire che le indicazioni di un decreto e le scelte politico-economiche, non possono assolutamente limitare il libero esercizio della professione medica, ma sono solo un semplice invito ad attenersi a determinati protocolli: servono a tutelare il paziente dalla Cattiva Clinica.
Questa è una sintesi della sentenza n. 169/2017 depositata il 12 luglio 2017 dalla Corte Costituzionale, chiamata ad esprimersi sul Decreto Lorenzin (figura n°1), che poneva alcune basi sull’appropriatezza prescrittiva e le modalità di verifica della stessa da parte delle strutture sanitarie di controllo.
La sentenza definisce con esattezza le norme relative alle condizioni di erogabilità del decreto Lorenzin, e di ogni altro decreto sulla spesa sanitaria e lo interpreta non come un vincolo, ma solo come un invito di conoscenza per il Medico, ribadendo le norme della giurisprudenza in merito alla libertà, autonomia e responsabilità del sanitario, riportando quindi negli esatti confini l’intrusività della politica, e consolidando ancor di più la giurisprudenza ormai vasta.
«Nel decreto non si tiene conto del fatto che l’appropriatezza clinica è basata sul rapporto tra benefici e possibili danni, e di questo va data corretta informazione al paziente/cittadino, del fatto che sulle decisioni influiscono molte altre variabili, quali la credibilità del professionista, le richieste, i valori, la fiducia del paziente, i margini di incertezza dei risultati, l’evoluzione delle conoscenze, il contesto fisico e soprattutto culturale di erogazione delle cure, e che di conseguenza la via legislativa rappresenta uno strumento poco efficace o addirittura tossico nei confronti dell’atto medico.
Non si tiene conto del fatto che se parliamo di appropriatezza clinica va preso in considerazione anche il sottoutilizzo, cioè le pratiche che secondo le prove scientifiche apportano benefici certi, ma che non vengono erogate a sufficienza, come ad esempio le cure domiciliari per malati cronici, terminali e disabili: la riduzione del sovrautilizzo può permettere un impiego più appropriato delle risorse e una medicina più equa».
I punti salienti
- No all’imposizione di norme solo a scopi finanziari. La medicina è una scienza in evoluzione pertanto non è possibile imporre una metodica prettamente finanziaria nelle linee guida, poiché le acquisizioni scientifiche sono in continua evoluzione e la loro applicazione dipende dall’autonomia e dalla responsabilità del medico, che, con il consenso del paziente, opera le necessarie scelte professionali (sentenze n. 338 del 2003 e n. 282 del 2002 e sentenza n. 151 del 2009). La giurisprudenza deve tener conto dell’evoluzione e della specificità di una patologia e non solo della dinamica evolutiva terapeutica ma anche della specificità del paziente, inteso come soggetto titolare del diritto alla appropriata attribuzione dei presidi diagnostici e terapeutici.
- Le sanzioni? Non devono mai essere applicate per deterrenza, ma per tutelare la buona clinica. La vigilanza e l’eventuale applicazione di sanzioni al medico non possono essere adoperate per un’azione di deterrenza ai fini di ridurre la spesa sanitaria bensì devono essere dirette alla tutela del paziente e del servizio, intercettando eventuali gravi scostamenti dalla buona pratica medica, diretti a soddisfare unicamente interessi economici dei soggetti coinvolti ovvero nell’industria farmaceutica o nella produzione dei servizi sanitari o comunque altri interessi, confliggenti con l’efficace ed efficiente gestione della sanità.”
- No alla discrezionalità politica ma attenersi alle conoscenze scientifiche. Non sono ammissibili scelte legislative di pura politica dirette a limitare o vietare il ricorso a determinate terapie la cui adozione ricade nell’ambito dell’autonomia e della responsabilità dei medici, che sono tenuti ad operare col consenso informato del paziente e che devono basarsi sullo stato delle conoscenze tecnico-scientifiche a disposizione, conoscenze che devono derivare e devono essere acquisite da istituzioni e organismi – di norma nazionali o sovranazionali – a ciò deputati.
Il confine tra terapie ammesse e terapie non ammesse, deve tener conto dei due diritti fondamentali della persona malata: quello ad essere curato efficacemente, secondo i canoni della scienza e dell’arte medica e quello ad essere rispettato come persona e, in particolare, nella propria integrità fisica e psichica (sentenza n. 282 del 2002 e sentenza n. 338 del 2003).
Richiesta di chiarimenti al medico prescrittore
La richiesta di chiarimenti al medico prescrittore da parte dell’Autorità di controllo o gestore dell’eventuale riduzione del trattamento economico accessorio, deve essere intesa come rigorosamente riferita, non a mere elaborazioni statistiche sull’andamento generale delle prescrizioni, ma a gravi scostamenti dalle evidenze scientifiche in materia. Ovviamente all’interessato deve essere assicurato il diritto a controdedurre rispetto all’addebito contestato, e pure consentito che egli possa interagire nelle fasi iniziali della decisione formale, in modo da assicurare in tale sede la piena cognizione dei fatti e degli interessi in gioco.
I controlli in linea con la deontologia medica
I controlli non devono essere “controlli burocratici” bensì devono essere gestiti secondo le regole deontologiche dell’esercizio della professione medica. Di questo è responsabile il direttore generale per omessa vigilanza ai sensi dell’art. 9-quater, comma 6.
Appropriatezza: un concetto rivisitato
Il termine appropriatezza è un neologismo derivato dall’aggettivo “appropriato” inteso come adatto, conveniente, adeguato, giusto ed è difficile trovare una definizione univoca e condivisa di appropriatezza riguardo all’atto medico in generale.
Nella letteratura biomedica il termine appropriatezza compare per la prima volta all’inizio degli anni Novanta in un editoriale della rivista “British Medical Journal” ove si mettono a confronto le esigenze di medici e di amministratori sulle scelte operative.
Una cura appropriata che vale la pena di essere somministrata deve ottenere benefici di gran lunga superiori agli svantaggi.
Una definizione oggi largamente accettata è quella proposta dai ricercatori della Rand Corporation (organismo statunitense creato nel 1948) e cioè “una procedura è appropriata se il beneficio atteso (per esempio aumento della aspettativa di vita, sollievo dal dolore, riduzione dell’ansia, miglioramento della capacità funzionale) supera le eventuali conseguenze negative (mortalità, morbosità, ansia, dolore, tempo lavorativo perso) con un margine sufficientemente ampio, tale da ritenere che valga la pena effettuarla.”
Sin dalla fine degli anni Novanta il termine appropriatezza è stato il filo conduttore dei principali documenti nazionali di programmazione sanitaria. Ad esempio «le prestazioni che fanno parte
dell’assistenza erogata, non possono essere considerate essenziali, se non sono appropriate».
Al contrario, non verranno erogate tutte le prestazioni la cui efficacia non sia stata sufficientemente provata in ambito scientifico.
Appropriatezza significa effettuare la prestazione giusta, in modo giusto, al momento giusto, al paziente giusto.
Quindi significa rispetto del paziente con una comunicazione onesta, attenta e completa, rispettando l’ambiente e in generale l’ecosistema.
Al contrario, non verranno erogate tutte le prestazioni la cui efficacia non sia stata sufficientemente provata in ambito scientifico.
Esiste una componente “cattiva” dell’appropriatezza, nell’ambito della variabilità clinicoprescrittiva.
Sono inappropriate quasi la metà delle indagini radiologiche ambulatoriali, i check-up, oltre il 60% dei test di laboratorio, fino al 90% degli antibiotici prescritti per le infezioni delle vie aeree superiori, la maggior parte delle angioplastiche eseguite a pazienti con angina stabile, gran parte delle artroscopie a cui sono sottoposti i pazienti con artrosi del ginocchio o con problemi meniscali, l’uso di psicofarmaci su minori per condizioni trattabili con interventi non farmacologici o medicalizzate senza vera necessità.
L’inappropriatezza come patologia del sistema
Se l’appropriatezza costituisce la condizione fisiologica ottimale per il sistema, è evidente che l’inappropriatezza costituisce la patologia da individuare e sconfiggere.
La proposta di questa schematizzazione viene da un lavoro che analizza il tema dell’inappropriatezza come una vera e propria patologia: “Sindrome degenerativa della prescrizione diagnostico – terapeutica in Medicina Generale. Andamento cronico con riacutizzazioni locali periodiche”.
L’etiologia indicata dagli autori è assolutamente condivisibile:
- ridotta capacità del Medico MG di avere una visione critica degli studi scientifici portati alla sua attenzione;
- scarsa abitudine alla ricerca costante delle informazioni che riguardano i profili di sicurezza dei principi attivi e, soprattutto, delle loro interazioni e controindicazioni.
Anche la sintomatologia è piuttosto riconoscibile:
- Elevata variabilità prescrittiva
- Predilezione dell’esperienza personale a scapito delle evidenze
- Scarso ricorso alla terapia empirica basata sull’evidenza per le piccole patologie con rinuncia frequente alla propria funzione clinica
- Irrazionale scelta della via di somministrazione
Per quanto riguarda la terapia dell’inappropriatezza, gli autori indicano una soluzione basata sul meccanismo dell’audit & feedback, da opporre a quelle che essi stessi indicano come terapie palliative: la terapia chirurgica (Delisting radicale o parziale delle prestazioni mediante interventi regolatori, note AIFA) e quella Medica (Terapia di prima generazione: corsi di aggiornamento).
Informazione in Medicina – obiettivi in relazione all’appropriatezza prescrittiva
- Migliorare la salute riducendo i danni derivanti da un’inappropriata, ingannevole o non etica commercializzazione di prodotti o servizi per la salute, in special modo la promozione farmaceutica ingannevole.
- Ricercare e diffondere l’informazione sulle tecniche di marketing.
- Promuovere un “salutare scetticismo” circa le tecniche di marketing mediante un’azione di difesa, ricerca ed educazione.
Conclusione
Possiamo quindi considerare “appropriata” la prestazione sanitaria erogata in conformità alle migliori evidenze scientifiche nella misura in cui queste risultano trasferibili al contesto del luogo e del livello sanitario a cui la prestazione viene erogata.
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