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A proposito del D.L. 95/2012 (cd. “spending review”), articolo 15, comma 11-bis

Il 14 agosto è stata pubblicata su Gazzetta Ufficiale la legge di conversione del D.L. 95/2012 (cd. “spending review”). Il testo dell’art. 15, comma 11-bis, prevede:
“Il medico che curi un paziente, per la prima volta, per una patologia cronica, ovvero per un nuovo episodio di patologia non cronica, per il cui trattamento sono disponibili più medicinali equivalenti, è tenuto ad indicare nella ricetta del Servizio sanitario nazionale la sola denominazione del principio attivo contenuto nel farmaco. Il medico ha facoltà di indicare altresì la denominazione di uno specifico medicinale a base dello stesso principio attivo; tale indicazione è vincolante per il farmacista ove in essa sia inserita, corredata obbligatoriamente di una sintetica motivazione, la clausola di non sostituibilità di cui all’articolo 11, comma 12, del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27. Il farmacista comunque si attiene a quanto previsto dal menzionato articolo 11, comma 12″.
Sebbene la lettura non sia agevole, certamente il tema non si applica per i pazienti cui sia indicato, secondo la valutazione del medico, un farmaco che è tuttora protetto dal brevetto. Il testo riguarda quindi la prescrizione di farmaci a brevetto scaduto sia in prescrizione cronica, che per una patologia acuta o per una patologia cronica di nuovo trattamento.

Senza entrare nel merito delle evidenti difficoltà e dell’aggravio di lavoro per il MMG per la quasi totale mancanza di disponibilità di software gestionali ad hoc, già la normativa precedentemente in vigore fissava per il prescrittore l’obbligo di esplicitare la non sostituibilità
quando si riteneva che il paziente dovesse ricevere proprio quella specialità medicinale e non un farmaco equivalente ad essa.
La non sostituibilità è un aspetto fondante nel rapporto medico paziente perché questa decisione entra non tanto nel merito dell’efficacia, se differente per diversi prodotti equivalenti, di cui ci sarebbe molto comunque da discutere in base ad alcuni trials di efficacia disponibili in letteratura, ma perché nella cura ha grande rilevanza il counselling che ha nel momento della prescrizione la sua espressione più importante e perchè il medico conosce le abitudini e la fragilità socio-culturale di alcune persone abituate a riconoscere il farmaco dalla scatola, che spesso viene sostituito dal farmacista in base ad una sostituibilità “selvaggia” e, vien da pensare, solo per fini economici, consentita dalla attuale normativa.

Chiaramente la non sostituibilità può essere legata, ad esempio, alle diversità degli eccipienti di cui può esistere una intolleranza personale ( si veda il caso del lattosio o di alcuni coloranti), ma anche al problema, già recentemente sollevato dall’AIFA dei farmaci LASA, ( look alike, sound alike) simili per la scatola o la denominazione, più ampio nel campo dei generici, che possono facilmente indurre in errore proprio il paziente più fragile e non solo.
In questi casi non è difficile per il Medico prescrittore addurre motivazioni cliniche a giustificazione dell’apposizione della non sostituibilità della propria prescrizione, anche in trattamenti acuti o all’inizio di un trattamento cronico, quando scelga farmaci a brevetto scaduto, soprattutto in pazienti pluritrattati con possibilità di errori di autosomministrazione, soprattutto per la discrezionalità con cui il farmacista può dispensare farmaci di pari molecola e pari prezzo di riferimento, non solo con confezioni diverse tra loro, ma simili con quelle di altri prodotti genericati contenenti sostanze diverse.
Sfugge ad ogni valutazione la ratio di questo articolo di legge, perché sappiamo che il mercato degli equivalenti è in continua crescita in Italia (vedi OsMed 2011), anche se esiste ancora una prescrizione elevata di equivalenti “branded” rispetto ai generici puri, a differenza di quello che si registra in altri Paesi europei o nel Nord America.

La classe medica italiana è accusata spesso di mantenere una irragionevole diffidenza verso il mondo del farmaco generico e di favorire ancora il farmaco griffato, anche se questo prevede una differenza monetaria a scapito dell’utilizzatore. È possibile che gran parte dei problemi siano stati legati, da un lato alla scarsa prova di “comunicazione” da parte istituzionale sul tema del farmaco equivalente e dall’altro, proprio alla sostituibilità in farmacia, come detto prima, fonte di frequente confusione e potenziale rischio per il paziente. Non è affatto difficile dedurre che da questo articolo di Legge non trarranno beneficio né i pazienti, né i Medici, né lo Stato, visto che differenze di costo tra equivalente branded e generico spesso sono assenti o sono di importo ridicolo e comunque non a carico dello Stato. Si stima che la spesa per la compartecipazione della differenza di costo tra equivalente “branded” e non branded sia di circa 700 milioni di euro all’anno e gravi sulle tasche dei cittadini.
Vero.
È una grossa cifra, specie se vista nell’insieme che, però, se divisa per ogni cittadino italiano vuol dire circa 12 euro all’anno…
Non sembra più così importante, se serve ad un cittadino ad evitare il rischio di un cambio continuo di scatole, colori, nomi.
E, in ogni caso, per le finanze pubbliche continua a essere più vantaggiosa la prescrizione del farmaco “branded” a brevetto scaduto o, comunque, di quello che prevede una differenza a carico dell’utente,dato che la legge (sconto al SSN dal 1,5 al 3,75% sul prezzo di riferimento per farmaci a brevetto scaduto di costo superiore a quello più basso, DL. 24/11/2006) prevede in questi casi un ulteriore sconto da applicare al rimborso del costo del farmaco destinato al farmacista.

Non è difficile pensare che, almeno nel breve, gli unici a trarre vantaggi saranno i produttori di farmaci generici che vedranno aumentare fatturato ed utili, risultando improbabile l’auspicato rapido decremento dei prezzi dei farmaci generici, da poco più di un anno fa già determinati dall’AIFA sulla base dei dati europei. Solo in un ulteriore ribasso del costo dei generici, poco probabile nell’immediato futuro, lo Stato potrebbe avere un ritorno economico che comunque potrebbe essere largamente inficiato dai costi indotti dal cattivo uso di prodotti non familiari ai cittadini o non ugualmente efficaci per tutti, non certo sulla base della diversa bioequivalenza, accuratamente monitorata dalle Autorità regolatorie, ma sulla base della mancata aderenza o dell’assunzione errata, come sopra ricordato, come un’accurata farmacovigilanza potrebbe dimostrare, se comunemente applicata.
I MMG sono sollecitati a continuare a svolgere il proprio compito di terapeuti, senza assumere atteggiamenti di abbandono, sfiducia o di disinteresse, rivendicando con forza e salvaguardando le proprie peculiarità di curanti della persona, nella difesa dell’interesse del paziente che si traduce automaticamente in una difesa del Servizio sanitario nazionale che, stante le difficoltà che lo affliggono, non aveva certamente bisogno di questa ulteriore fonte di inciampo e di possibile deterioramento del livello di cura.

È indispensabile che il Ministro convochi al più presto un tavolo tecnico coi rappresentati dei clinici prescrittori per porre i rimedi necessari a questa decisione del Parlamento, rimedi che rimettano ordine nella filiera della vita del farmaco in relazione alle cure, che debbono essere garantite ai cittadini bisognosi in termini costituzionali e col minor dispendio economico, reale e con adeguato orizzonte temporale di valutazione multiparametrica, a carico dello Stato.

Marco Cambielli
Vice Presidente e Responsabile politica del farmaco SNAMID.